PITTORE ATTIVO A ROMA NEL XVI-XVII SECOLO
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San Pietro e San Paolo
Olio su tela, cm 120X100
Oltre a una eccellente qualità , l'analisi del dipinto mostra prima di tutto l'integrità del supporto, che in prima tela e con le proprie cimase, non si rivela un frammento. Il secondo aspetto da considerare sono i caratteri tecnici e di stile, indicativi di un pittore formatosi nel XVI secolo, attivo a Roma durante i primissimi anni del XVII e verosimilmente in un momento precoce della propria carriera. Per questo motivo l'opera resiste a una facile interpretazione attributiva, come appare sintomatica la sua tradizionale assegnazione a Carlo Saraceni (Venezia, 1579 - Venezia, 1625), artista la cui attività si svolse nella Città Eterna dal 1598. Se così fosse, l'esecuzione coinciderebbe con le intuizioni dette e non supererebbe una data oltre il 1605 - 1610 al massimo. Osservando le stesure, è tuttavia possibile pensare a una collocazione cronologica di poco precedente, fermo restando che sia pur arduo prendere le mosse dal nome di Saraceni, è indubbio che l'indagine si svolge a Roma e in quest¿arco di tempo- il peggiore da indagare come attestano gli stessi conoscitori dell'epoca. Vengono in mente, infatti, le parole di Giulio Mancini, che nella sua pervicace volontà di procedere a una classificazione di tutti gli artisti ivi operanti, par quasi arrendersi osservando che erano molti, quasi tutti giovanissimi e 'che vanno e vengono non li si puol dar regola' (G. Mancini, 'Considerazioni sulla pittura', 1614-1630, I, p. 97). Il desiderio invocato dal Mancini era anche ostacolato da una similitudine di vita e apprendimento di questi giovani, accomunati da una medesima indole sperimentale, una rapida evoluzione e la comune adesione transitoria a stili e influenze diverse. Nel nostro caso, possiamo notare come l'autore abbia avuto cura nel delineare i panneggi e le stoffe, in sintonia con la longhiana 'sartoria di lusso' di gentileschiana memoria, così come il volto di San Pietro, il cui naturalismo trova sempre analogie con il primo Gentileschi e, a esempio, con il profilo del San Giuseppe a cui appare l¿angelo di collezione privata milanese (cfr. G. Serafinelli, 'Roma al tempo di Caravaggio 1600 - 1630', catalogo della mostra a cura di R. Vodret, Milano 2011, pp. 30 - 31, n. II.2). Altrettanti spunti si riscontrano con le prove di Giuseppe Vermiglio ben prima della pala dei Cenci del 1612, ma in ogni caso, da qualunque punto si osservi il dipinto, si evidenzia un sincero naturalismo ben distante dalla tarda maniera, uno stile che ha oltrepassato il gusto controriformato d¿ascendenza toscana, autonomo nei confronti della scuola bolognese e che reca in se quella vocazione realistica che sarà dei caravaggeschi come il Manfredi.
Olio su tela, cm 120X100
Oltre a una eccellente qualità , l'analisi del dipinto mostra prima di tutto l'integrità del supporto, che in prima tela e con le proprie cimase, non si rivela un frammento. Il secondo aspetto da considerare sono i caratteri tecnici e di stile, indicativi di un pittore formatosi nel XVI secolo, attivo a Roma durante i primissimi anni del XVII e verosimilmente in un momento precoce della propria carriera. Per questo motivo l'opera resiste a una facile interpretazione attributiva, come appare sintomatica la sua tradizionale assegnazione a Carlo Saraceni (Venezia, 1579 - Venezia, 1625), artista la cui attività si svolse nella Città Eterna dal 1598. Se così fosse, l'esecuzione coinciderebbe con le intuizioni dette e non supererebbe una data oltre il 1605 - 1610 al massimo. Osservando le stesure, è tuttavia possibile pensare a una collocazione cronologica di poco precedente, fermo restando che sia pur arduo prendere le mosse dal nome di Saraceni, è indubbio che l'indagine si svolge a Roma e in quest¿arco di tempo- il peggiore da indagare come attestano gli stessi conoscitori dell'epoca. Vengono in mente, infatti, le parole di Giulio Mancini, che nella sua pervicace volontà di procedere a una classificazione di tutti gli artisti ivi operanti, par quasi arrendersi osservando che erano molti, quasi tutti giovanissimi e 'che vanno e vengono non li si puol dar regola' (G. Mancini, 'Considerazioni sulla pittura', 1614-1630, I, p. 97). Il desiderio invocato dal Mancini era anche ostacolato da una similitudine di vita e apprendimento di questi giovani, accomunati da una medesima indole sperimentale, una rapida evoluzione e la comune adesione transitoria a stili e influenze diverse. Nel nostro caso, possiamo notare come l'autore abbia avuto cura nel delineare i panneggi e le stoffe, in sintonia con la longhiana 'sartoria di lusso' di gentileschiana memoria, così come il volto di San Pietro, il cui naturalismo trova sempre analogie con il primo Gentileschi e, a esempio, con il profilo del San Giuseppe a cui appare l¿angelo di collezione privata milanese (cfr. G. Serafinelli, 'Roma al tempo di Caravaggio 1600 - 1630', catalogo della mostra a cura di R. Vodret, Milano 2011, pp. 30 - 31, n. II.2). Altrettanti spunti si riscontrano con le prove di Giuseppe Vermiglio ben prima della pala dei Cenci del 1612, ma in ogni caso, da qualunque punto si osservi il dipinto, si evidenzia un sincero naturalismo ben distante dalla tarda maniera, uno stile che ha oltrepassato il gusto controriformato d¿ascendenza toscana, autonomo nei confronti della scuola bolognese e che reca in se quella vocazione realistica che sarà dei caravaggeschi come il Manfredi.
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